Le Marche



Le Marche sono una regione dell'Italia centrale, meravigliose quanto insolite per la loro diversità di paesaggio e territorio: forme armoniche e sinuose, falesie e grotte che si alternano a spiagge indimenticabili, colline che rievocano storia, tradizione, arte e montagne attrezzate con impianti di risalita per gli appassionati di sci.
Il territorio è in prevalenza collinare e montuoso, abbraccia il versante adriatico dell’Appennino umbro-marchigiano con le sue spiagge basse e sabbiose. Rinomato la lunga distesa di sabbia fine e dorata, bagnata da acqua cristallina, che si trova a Senigallia, con il suo lungomare vivo e mondano durante tutte le ore del giorno. 
Non parliamo di un’unica cucina ma di un’unione di sapori e gusti di tutto il territorio con le sue caratteristiche specifiche. La ruvidità tipica dell’entroterra, si assapora nei piatti a base di carne con il maiale in porchetta, l’agnello marinato; piatti a base di tartufo, come quelli di Acqualagna e Sant’Agata Feltria e a base di funghi; nei primi piatti, tagliatelle, strozzapreti ed  i tradizionali “vincisgrassi”, capostipite di tutte le lasagne al forno della penisola.
Il gusto fresco e dolce del mare, si percepisce nei piatti a base di pesce; padrone indiscusso della tavola costiera è il “brodetto” che raccoglie più di 14 specialità di pesce arricchito, nel pesarese e nell'anconetano, dal pomodorino e, nell’ascolano, dallo zafferano. Il piatto simbolo della città  di Ascoli è il fritto misto all’ascolana: olive farcite, crema, zucchine, carciofi e costolette d’agnello mentre tra i dolci troviamo il ciambellotto con i funghetti all’anice, la cicerchiata, i ravioli fritti e ripieni di castagne, crema e ricotta.



  • OLIVE ALL'ASCOLANA
Le olive all'ascolana devono il loro nome alla città di Ascoli Piceno. Sono composte da olive verdi in salamoia, farcite all'interno da un composto tenero a base di carne.
Rappresentano una specialità gastronomica del territorio ascolano e sono uno dei piatti più rappresentativi del Piceno. Si accompagnano spesso ad altre fritture come i rustici, la carne, la verdura (il fritto misto all'ascolana prevede carciofi, zucchine e cotolette d'agnello e la crema fritta.
L'ascolano Benedetto Marini, a seguito delle sue ricerche, data la nascita della ricetta delle olive all'ascolana ripiene e fritte nell'anno 1800. Al tempo, i cuochi che prestavano servizio presso le famiglie della locale nobiltà, accordandosi tra loro, inventarono il ripieno delle olive per consumare le notevoli quantità e varietà di carni che avevano a disposizione, dovute alla maggiorazione delle regalie che gravavano sui contadini verso i loro padroni.
Vengono spesso preparate in occasione di festività e ricorrenze. In città e nei dintorni le olive ripiene si possono acquistare nei locali negozi di pasta all'uovo e gastronomie.






  • MINESTRA IMPERIALE 
Nelle Marche si prepara ancora un piatto che già dal nome vi dà un’idea della sua importanza: la minestra imperiale, o colorata per gli amici. «Un tempo si faceva per i matrimoni, ora non ci si sposa più e quindi al massimo si fa per i compleanni». Ci racconta così Emidia, per tutti Mimina di Montalto Marche, in provincia di Ascoli Piceno, tra le poche signore rimaste a prepararla secondo l’antica ricetta originale. Infatti, se può capitare di trovare i cubetti colorati di minestra imperiale nei vari pastifici da Matelica a Offida, tutt’altra cosa è la minestra preparata in casa secondo il metodo tradizionale che richiede ore e ore di tempo.
Che cos’è la minestra imperiale?
La minestra imperiale è un piatto diffuso in tutte le Marche, in particolare tra la provincia di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno. Si tratta di un impasto di uova, farina, parmigiano, limone, noce moscata, che viene poi diviso in tre parti e colori differenti con l’aggiunta di spinaci e concentrato di pomodoro. I tre colori diversi sono solo una questione estetica, molto probabilmente un richiamo alla bandiera italiana. La sua particolarità sta proprio nella cottura: cuoce infatti per ore e ore (almeno tre) dentro un sacco di cotone chiuso con lo spago, per poi essere tagliato a cubetti; per questo l’ideale sarebbe preparare l’impasto il giorno prima del consumo. In passato, quando veniva preparata in grandi quantità, i tre impasti venivano cotti in tre pentoloni. Se la quantità è per poche persone, invece, non è possibile poiché l’impasto si attaccherebbe al sacco e quindi oggi si fanno cuocere anche insieme. Vista la lunghezza e la complessità della preparazione, negli anni si fa sempre meno, o si preferiscono altre modalità, come ad esempio la cottura al forno che accorcia notevolmente i tempi. «Ma al forno non viene bene», ci spiega Mimina «perché si asciuga troppo e diventa dura, mentre preparata in modo tradizionale diventa morbida e spugnosa come dev’essere, senza essere troppo compatta». Il sapore ricorda vagamente quello dei passatelli, da cui si differenzia però per consistenza, forma e colore.


  • IL CIAUSCOLO
Il ciauscolo è un salume della tradizione contadina dell'entroterra umbro-marchigiano. Secondo alcune ipotesi si riconduce ai salumi freschi conosciuti in età longobarda. Il sedimento storico coincide con il Ducato di Camerino e Spoleto. Il ciauscolo è solo "industrializzato" nella costa e piana adriatica, restando un prodotto antico e diffuso nel contado camerte, in particolare Visso.
Il riconoscimento IGP viene dato unicamente al ciauscolo prodotto nelle province di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno.
Materia prima: impasto di carne suina derivante da spalla, pancetta, prosciutto, lombo, lardo e altri tagli minori con aggiunta di aromi quali vino bianco, aglio e pepe.
Tecnologia di lavorazione: le carni del maiale, dopo essere state refrigerate per circa 2 giorni per un'ottimale frollatura, vengono macinate più volte (di norma due), impastate e insaccate in budello naturale con legatura alle estremità (in alcuni casi si effettuano più legature).
Stagionatura: la stagionatura, di almeno 15 giorni, può avvenire in locali artigianali o industriali a temperatura compresa tra 10 e 16 °C.
Caratteristiche del prodotto finito: aspetto esterno di forma cilindrica (si presenta come un salame di media grandezza), peso medio 500-1000 g, lunghezza circa 30 cm, colore rosato, insaccato in budello naturale. Si distingue rispetto agli altri salumi per la sua spalmabilità tale da renderlo paragonabile a un paté. Questa caratteristica, dovuta alla particolare composizione dell'impasto di carne e alle specifiche tecniche di lavorazione, è più evidente nelle zone dell'alto maceratese e nell'entroterra ascolano dove la percentuale di grasso è maggiore.


  • LA CRESCIA MARCHIGIANA
La crescia sfogliata di Urbino (o crostolo) è quella che risente maggiormente della vicinanza con Rimini e la sua piadina sfogliata: si prepara con farina, acqua, strutto e sale. E poi il pepe e le uova, ingredienti che la differenziano rispetto ai vicini più a nord. La cottura, tradizionalmente, avveniva su una lastra di argilla anziché sul famoso testo romagnolo. Il sapore ne risulta inevitabilmente più forte, con le farciture o i condimenti che si presentano analoghi a quelli utilizzati in Umbria: salsicce, prosciutto, bietole, lonza, spinaci o formaggio. Tra le varianti c’è il crostolo di Urbania, in cui la farina bianca viene sostituita da quella di granturco. L’origine di questo piatto è probabilmente comune a quello della piadina, anche se non mancano i gastronomi marchigiani che, con grave scorno dei Romagnoli, ritengono la crescia urbinate più antica e la piadina nient’altro che una “parente povera” senza uova. Suscitando le immancabili polemiche. Secondo la leggenda, l’invenzione si deve a una giovane fornaia che, vedendo il sole “impigliato” fra le torri di Palazzo Ducale, creò questa sorta di focaccia sfogliata di forma tonda, che per la leggera lievitazione e il desiderio di volare in alto, fu chiamata “crescia”. Leggende a parte, è certo però che i duchi di Montefeltro la apprezzavano già nel XV secolo, nonostante la sua natura di piatto povero. E il legame tra gli antichi signori e la crescia è tale che anche nella vicina Gubbio, città umbra conquistata dal ducato, dove il nome “crescia” è rimasto sia pure per indicare un prodotto diverso, praticamente identico alla torta al testo. La rivalità con la piadina si farà sentire ben presto. Ne era consapevole anche Giovanni Pascoli, romagnolo doc e inventore del termine “piadina”, che in una lettera si esprimeva così: “Sono più di trent’anni che non vedo Urbino, non m’è uscito di mente nulla, nemmeno la Baciocca (osteria, Ndr) dove ci facevamo fare le cresce”.

  • COLLI PESARESI D.O.C.
L’area geografica della denominazione Colli Pesaresi DOC ricade nella provincia di Pesaro -Urbino ed è relativa a 37 comuni compresi nel Montefeltro, nei bacini dei fiumi Metauro e Foglia fino alla superficie del monte S. Bartolo che è la propaggine sul mare della catena montuosa e collinare dell’entroterra della valle del Foglia.
Il Colli Pesaresi bianco ha colore giallo paglierino, profumo delicato, gradevole e mai stancante, apprezzato per la sua leggerezza. Secco, fresco e poco caldo è piacevole per aperitivi. Profumi di ginestra e fiori bianchi prevalgono su tutto. I vini prodotti lungo la costa assumono caratteri di sapidità notevole dovuti sia alla vicinanza dal mare che dal terreno chimicamente salino. Nel rosso dei Colli Pesaresi risalta l’intensità della sfumatura violacea che si spinge verso il granato con l’affinamento. Da bere entro il primo anno di vita, 2-3 anni per la versione Focara , Roncaglia e Parco del San Bartolo spicca l’elevata vinosità, piacevolmente morbido grazie ad un tannino mai pungente. Secco ed asciutto richiama frutti di bosco e profumi di violetta.
  • COLLI MACERATESI D.O.C.
La zona geografica relativa alla denominazione Colli Maceratesi DOC comprende l’intero territorio della provincia di Macerata e del comune di Loreto in provincia di Ancona. Si tratta di un ampio territorio posto al centro della regione Marche tra il mare Adriatico e la catena dei monti Sibillini, solcato lungo tutto il percorso dai fiumi Chienti e Potenza e in parte dal fiume Musone, che segna il confine con la Provincia di Ancona.
Il vitigno Maceratino, noto anche come Ribona, ha permesso di caratterizzare i vini bianchi della DOC Colli Maceratesi, dove rappresenta l’elemento varietale preponderante anche nella tipologia base (70% min). La presenza di diversi vitigni bianchi coltivati da tempo nel territorio consente di arricchire di profumi il vino, che presenta un odore delicato e gradevole. I vini rossi si basano invece sul vitigno Sangiovese, che con i suoi odori intensi e il sapore armonico, è espressione dell’elevata capacità di adattamento di questo vitigno agli ambienti pedoclimatici e alle tecniche colturali dell’area.


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